Il Pigato e i suoi tre moschettieri

BioVio, Bruna e Alessandri.
Parte I: BioVio

D’estate la partenza è sempre da Andora, ma questa volta non sono solo. Mio cugino Nardo, al secolo Bernardo Anselmo, ed un suo competente collega Franco Demoro, mi accompagnano. Colleghi perché entrambi esponenti di una delle associazioni di Sommelier italiane. Non essendo presenti in veste ufficiale, ma solo come validi appassionati, non dirò quale. Anche perché la mia esperienza mi ha ripetutamente fatto constatare che la qualifica di sommelier non è sufficiente ad indicare un valido degustatore.
La direzione è l’entroterra di Albenga, per raccontare di Pigato.
Vitigno e vino decisamente affascinante, le cui potenzialità sono ai molti sconosciute. Solo ultimamente balzato agli onori della cronaca, per alcuni, ma limitati prodotti, che sono riusciti a conseguire attenzione e riconoscimenti dalle guide nazionali e dalle riviste internazionali. Appartenente alla grande famiglia dei vermentini, in alcune zone della Liguria, trovando un habitat adeguato, si è modificato dando origine ad un clone tutto particolare ed unico. Prende il nome dalle macchioline color ruggine che compaiono in fase di maturazione sugli acini, macchioline che in dialetto ligure si chiamano Pighe. Dalle Pighe al Pigau (in italiano Pigato), il passo è breve.
Coltivato in diverse zone della Liguria, le migliori e più sincere interpretazioni le concede nella vallata che si snoda alle spalle di Albenga. Albium Ingunum come era chiamata dai romani, è una città antichissima, risalente al VI secolo a.c., estendeva il suo potere su tutto il ponente ligure, ed era il centro più importante della popolazione ingauna. Popolo di agricoltori, allevatori e pirati, nel corso degli anni furono prima alleati di Roma, poi nemici e alleati di Annibale, poi di nuovo alleati, ed infine nemici dei romani e definitivamente sottomessi nel 181 a.c. dal Proconsole Lucio Emilio Paolo.
Il centro storico è molto bello ed in una visita turistica della zona una passeggiata per i suoi Carrugi è obbligatoria, come un trancio di farinata cü seüllottu o i Friscöei de Baccalà. Se il viaggio è in primavera vera primizia sono i Friscöei de Gianchetti.
Già il Pigato. Usciti da Albenga si va nord e nella penisola che si genera, appena prima della confluenza del torrente Arroscia nel Neva, troviamo Bastia. Quando i due torrenti si uniscono, perdono la loro identità, per crearne una terza: il Centa, che con i suoi 3 km di corso, è il secondo fiume più corto d’Italia. Frazione di Albenga, e prima zona di interesse per la coltivazione del Pigato. Qui le colline hanno pendenze più dolci, e la vicinanza al mare influisce sui vini che spesso sono sensibilmente minerali e connotati da profumi di pesca gialla ed erbe aromatiche come timo e basilico.
Il primo moschettiere: Porthos-Vio Aimone
Proprio nel centro di Bastia c’è il piccolo castello di Giobatta Vio detto Aimone, il primo moschettiere. Recuperato dal lento degrado del tempo, ora è diventato, abitazione privata, cantina e agriturismo. Ci accoglie Caterina, una delle tre figlie, e ci fa accomodare sul lungo tavolaccio di legno, insieme ad una coppia di gentili turisti piemontesi.
Wine il vino - Pigato MarenèSi parte con il Rlp[1] Pigato Marenè 2015 (88/100), prodotto con uve provenienti dal vigneto “Marixe” a Bastia e Crio macerazione dell’uva e fermentazione in acciaio. Matura 4 mesi in acciaio e 2 in bottiglia.
Fin dalla prima olfazione chiariamo l’argomento di cui andremo a parlare: vini buoni. Infatti, ai i profumi fruttati di pesca e mela gialla, si uniscono quelli dell’uva stessa, poi delle erbe aromatiche, di qualche agrume, e di iodio.
La sensazione generica è piacevole, perché il ricordo dell’uva dalla quale nasce, è vivido. Ci porta a pensare di avere di fronte un vino quasi antico, sebbene sia giovanissimo.
Al palato è già equilibrato, con cremosità e mineralità a spiccare negli opposti reparti. Di certo ha influito l’annata torrida, che ha costretto ad anticipare la vendemmia, nello sviluppare sensazioni “Mature”. Tuttavia la Maestria di Caterina ed Aimone ci consegnano un grande vino, ottimo per accompagnare quasi tutti i piatti della cucina tradizionale ligure.

Wine il vino - Pigato Bon in da bonContinuiamo con il Rlp Pigato Bon in da Bon 2015 (88/100), prodotto da una selezione di piante, considerate migliori, del vigneto “Marixe”.
Al naso esprime le analoghe sensazioni del fratello minore, per quanto riguarda erbe aromatiche e i profumi della schiuma di mare, ma si distanzia con i fiori bianchi e un primo accenno di camomilla.
Si capisce la stoffa del quale è tessuto, ma è ancora privo delle forme adeguate. L’esperienza ci dice che passati due anni, sarà cucito nelle sue parti come uno splendido vestito. In questo momento pareggia col fratello piccolo, ma ben presto raggiungerà l’eccellenza. E non si fermerà al minimo.
La gentile moglie di Aimone, generosa ed ospitale, cerca di “corrompere” il nostro palato con focaccia, olive taggiasche e un pomodoro della qualità cuore di bue dal peso di 2 kg. Ma ciò che sorprendeva persino me, che ad Andora con la mia famiglia li coltivavo, era la carnosità, che grondava succhi dalla larga sezione. Noi tre abbiamo gentilmente rifiutato. In realtà abbiamo chiesto di lasciarci un piccolo assaggio da fare alla fine della degustazione. L’azienda BioVio oltre che al vino produce ortaggi ed erbe aromatiche, che esporta in tutta Italia.
Intanto Aimone, che dopo averci accompagnato all’azienda in vespa, ed averci lasciato nelle mani della figlia Caterina l’enologa, adesso era tornato e con noi degustava ed in dialetto ligure conversava. Le figlie sono tre e tutte in ruoli diversi, sono coinvolte nell’azienda famigliare.
Wine il vino - Pigato Grand pereConcludiamo la rassegna dei Pigati, col Rlp Pigato Gran Père 2014 (90/100), prodotto da uve vendemmiate tardivamente, a metà ottobre, sempre del vigneto Marixe, e ovviamente dalle migliori, tra le migliori piante. Affina 10 mesi in Tonneaux e 4 mesi in bottiglia. L’impatto olfattivo è notevole, per la definizione dei profumi, per la qualità dei profumi. Complesso e molto fine, con profumi evoluti di fiori gialli e mareggiata. La pesca gialla è la più succosa tra le qualità. Poi arriva il palato e riesce a sorprendere ancora, per la quantità di materia e per l’equilibrio che solo un ballerino come Rudolf Nureev sfoggiava. Incredibile.
Incredibile, perché, sono evidenti gli ampi margini di miglioramento, che il tempo gli concederà.
Come talvolta capita, quando agli dei del vino aggrada, durante le degustazioni, succedono incontri occasionali, non programmati, che aggiungono qualcosa al valore complessivo del viaggio. Così a noi si unisce anche il bravo ed appassionato delegato provinciale, di un’altra delegazione di Sommelier che in abiti del suo lavoro, passava da quelle parti, e delle sue conoscenze ci siamo arricchiti.
E, sempre in dialetto, tra un informazione e un’altra, la discussione è stata portata da Franco Demoro sulle capacità del Pigato d’invecchiare felicemente. A tal punto che perentorio concludeva:” Bisogna dirlo chiaro, il Pigato non è un vino da bere giovane, ma da invecchiamento”. In quel preciso istante Aimone, avendo la coscienza delle capacità del figlio ed essendone orgoglioso, è andato verso il Santa Sanctorum, per tornare con in mano una bottiglia di Pigato Marené 2012.
Pensavamo di aver concluso, ed invece concludiamo davvero con Rlp Pigato Marené 2012 (91/100). Considerata la temperatura da abbassare, il naso è addirittura emozionante, per quantità e finezza, con le note salmastre ad incorniciare un mazzo di fiori gialli, e tanta camomilla, qui dominante sul resto. Ma la differenza la fanno idrocarburi, che si declinano in questa maniera, solo nei migliori riesling. La bocca è altrettanto appagante con materia ed eleganza. Un grandissimo esempio di Pigato.
Sì penso che Franco abbia ragione, il Pigato è un vino da bere con qualche anno di profondità.
Finalmente posso godermi focaccia, olive taggiasche e il pomodoro. Era come pensavo. Strepitoso.
Se è vero che, come dice Servio, nullus locus sine Genio, e cioè nessun luogo è senza un Genio, a Bastia conosciamo il suo nome: Aimone Vio.
Del quale, tra le tante cose cito :” A tou giuo…a nu ghe mettu ninte” Te lo giuro non ci metto niente. Forse proprio per quello aggiungo io. Quando al biologico ci credi per affinità di idee con quella filosofia produttiva, e non per seguire tendenze e mode, allora conoscenza, passione ed individualità di uomini e vigneti, generano risultati unici. In questo caso anche splendidi.
Terminata la degustazione, andando a casa e ripensando al bel pomeriggio, la mia attenzione si è fermata sulla frase di Aimone, ma in un istante mi sono trovato a prendere in considerazione ciò che non aveva detto, che era molto più importante di ciò che aveva detto. Lui ha sentito il bisogno di specificare che non ci mette niente, se non uva, perché?
Cosa fanno altri?
Fabrizio Buoli

[1] Rlp è l’acronimo che uso per comodità. La denominazione corretta è Riviera Ligure di Ponente, (seguito dal nome del vitigno), doc